Saltando nel tempo…

E’ l’estate del 1978 quando il presidente dei Diavoli Mino Pastorelli, cercando di rendere competitiva la formazione, compone una prima linea offensiva di grande livello mettendo sotto contratto il trio Covo, Cupolo, Gellert. La loro linea si distingue subito per prolificità e spettacolarità: quando sul ghiaccio del Piranesi ci sono loro per gli avversari sono dolori, tanto che i tre ottengono un’inaspettata visibilità sui magazine settimanali della Gazzetta dello Sport con articoli dedicati alla linea degli “angeli dalla faccia pulita”. Pastorelli gondola, rinnova loro il contratto, ma in seguito all’ennesimo cambio di rotta della federazione in materia di transfer card, decide di interrompere la propria avventura nel mondo dell’hockey. Una sola stagione sportiva, curiosamente, ci da modo di parlare di oltre ottanta anni di storia hockeystica milanese, legando fra loro le gesta sportive e non dei padri e dei figli di questi giocatori. Il padre di Ken, Pier Vittorio Covo, nasce a Locarno, Svizzera, nel 1917. Da giovanissimo si trasferisce con la famiglia a Milano e con il fratello Giulio, di qualche anno più grande, intraprende l’attività hockeystica. E’ infatti uno dei “boys” allevati da Francesco Roncarelli a cavallo degli anni ’30. Arriva a giocare in prima squadra anche se non figura nei roster delle formazioni campioni d’Italia perchè, a causa delle sue origini svizzere, è considerato straniero. Disputa tuttavia tornei ed amichevoli internazionali tanto che le foto custodite dal figlio sono tra le prime testimonianze storiche dell’Hockey Club Milano, documentando tra l’altro una delle prime immagini di maglie milanesi personalizzate con i nomi dei giocatori. Pietro Covo si trasferisce in Canada a ridosso del secondo conflitto mondiale, convinto a proseguire oltreoceano i suoi studi dal suo ex allenatore e compagno di squadra Roncarelli. Sarà la sua fortuna: la sua famiglia, sfollata durante la guerra sulle rive del lago Maggiore, sarà coinvolta in una drammatica vicenda ricordata come l’eccidio di Mergozzo. Una settimana dopo la firma dell’armistizio firmato da Badoglio, è il 15 settembre del 1943, nel nord italia regna il caos. Un battaglione di una divisione SS presente nella zona irrompe nella casa di famiglia a Mergozzo arrestando Mario Covo ed alcuni suoi ospiti. Di loro, probabilmente giustiziati in un campo vicino e gettati nel lago Maggiore, non si saprà più nulla di certo. Pietro muore nel 1973, dopo essere diventato professore e, curiosamente, allenatore della squadra di rugby della Mcgill University, che in questo sport gli dedica in memoria un torneo annuale a partire dall’anno successivo. Mentre la famiglia Covo è vittima della guerra, dall’altra parte dell’oceano Billy Cupolo muove i primi passi nell’hockey professionistico nord americano. Nato l’8 gennaio 1924 a Niagara Falls, in Canada, William Arnold gioca a partire dal 1941 per gli Stratford Indians. Le sue prestazioni nei Stratford Kroehlers nella stagione 1942-43 gli valgono un invito per un camp dei Boston Bruins. Cupolo viene reclutato per le forze armate canadesi ma, colpito da tubercolosi, è costretto ad un lungo ricovero ospedaliero. Riformato per il servizio militare può tornare a dedicarsi all’hockey tanto che i Boston Bruins si ricordano di lui e lo chiamano per la stagione 1944-45. In NHL gioca solo un anno realizzando 12 goal e 15 assist in 54 incontri. Il suo soprannome in questi anni è typhon wing, ala tifone, ma il rientro dal fronte dei giocatori impegnati nel conflitto bellico nonché il numero ridotto di formazioni che si contendono la Stanley Cup, sono solo sei, non gli valgono la riconferma. Scende gradualmente di categoria fino a quando, nel 1954, riceve la chiamata del Milano Inter per vestire i panni di giocatore allenatore della formazione neroazzurra. A Milano Billy si conferma atleta serio e scrupoloso e in linea con George Beach e Lea Hardy compone un terzetto invidiato dai principali team europei. Il Milano domina in Italia ed in Europa tanto che a gennaio può già vantare 19 vittorie su 20 incontri disputati in ambito europeo oltre alla vittoria delle prestigiose Coppa Schaefer e Spengler Cup. In Italia i suoi compagni gli danno il soprannome di “lattante”: le cronache riportano infatti che beva oltre due litri di latte al giorno. Appesi i pattini al chiodo Cupolo rimane a Milano come allenatore della squadra e della nazionale con cui partecipa alle Olimpiadi di Cortina del 1956. Si sposa con la milanese Edda tanto che Steve, il suo primogenito, nasce a Sesto San Giovanni il 22 maggio 1957. Sarà proprio Billy a consigliare l’avventura milanese al figlio, che racconta sulle pagine della Gazzetta dello Sport Illustrata come il padre prese contatto con Giancarlo Agazzi per avere il numero di telefono di Mino Pastorelli. Tornato definitivamente in Canada, Billy viene inserito nella Niagara Falls Sports Wall of Fame nel gennaio 1995, insieme a numerosi altri ex giocatori che hanno calcato il ghiaccio milanese tra cui Robert Manno, Dino Serra, Tony Parisi e tra gli avversari Rick Morocco e Frank Pietrangelo, altro NHLers, che gli dedica rivolgendosi al figlio Mark, altra lunga militanza hockeystica italiana, queste parole il giorno della sua morte, il 7 dicembre 2005: “ Your dad, as you know, was a great man, and would do anything for you and your family.

I used to enjoy nothing more than to see his face in the stands when we were skating our summer hockey, and then to spend a few minutes afterwards just talking about hockey, family and life in general.
He will be missed by all of us, and our thoughts and prayers are with you at this difficult time. “

Torniamo a Steve e al 1978 quando la Gazzetta descrive la sorpresa del giovane attaccante oriundo nell’osservare il pubblico milanese: “In Canada non esiste questo tifo: qui sono davvero tutti matti. La si assiste alle partite quasi senza parlare, in silenzio, gridando solo per i gol. Qui è più bello, questa folla trasmette calore, entusiasmo, ti da la carica. Poi fuori ti conoscono, ti stringono la mano, ti danno pacche sulla schiena, ti salutano. Ci fanno sentire davvero più che a casa”. Lo sa bene Kim Gellert che a Milano è “ospite gradito” in tre decadi differenti. Portato in Italia dall’Alleghe dopo un’ottima carriera universitaria Kim è già una stella del campionato quando arriva in città. Degli ultimi Diavoli è il cannoniere indiscusso tanto da meritarsi con largo anticipo il rinnovo del contratto. La chiusura della squadra interrompe momentaneamente la sua avventura nel capoluogo lombardo ma Gellert rimane in Italia vestendo le casacche di Gardena, Varese ed Asiago. Quando a Milano si pianifica un ritorno in grande stile il suo nome non può non circolare tra gli uffici della società tanto che a lui viene assegnato il ruolo di giocatore allenatore della formazione che affronta il campionato di serie B nel 1985-86. Nel 1987 viene liberato dal ruolo di allenatore, la panchina viene affidata a Ron Ivany, e Gellert è uno dei trascinatori del Milano nella cavalcata che porta alla promozione in serie A. Ripercorrendo curiosamente il percorso di Billy Cupolo, trova moglie in Italia e nel belpaese mette su famiglia. Mentre Kim da spettacolo sul ghiaccio, il 15 settembre 1989 a Milano nasce Alex. Quando le strade di Gellert padre e del Milano si separano in modo burrascoso, il piccolo Alex ha già avuto modo di vestire una maglia della Sportivi Ghiaccio Milano. Il primo tesseramento italiano gli vale la possibilità di tornare in città al termine del suo percorso universitario senza intaccare il contingente dei transfer card. E’ l’estate del 2013 e vedere nuovamente il nome Gellert su una maglia rossoblu è più che emozionante per numerosi tifosi. Alex è protagonista nella stagione che porta alle celebrazioni dei novanta anni di storia hockeystica milanese realizzando, da difensore, 15 goal e 18 assist in 45 incontri. Suo padre viene invitato a Milano ad assistere alla cerimonia di ritiro della sua storica maglia numero 20. Al termine della stagione tuttavia Alex manifesta dubbi sulla possibilità di tornare a Milano. Da parte sua la società tarda ad intavolare la trattativa per la sua conferma tanto che Alex sceglie di accasarsi a Cortina. Il ridimensionamento della società milanese con la scelta, la stagione successiva, di scendere di categoria e la contemporanea crescita di Alex Gellert che nel frattempo entra nel giro della nazionale e si accasa a Bolzano, in Ebel, hanno per il momento interrotto questa storia: solo negli anni a venire scopriremo cosa ci riserverà il futuro e se nuovi intrecci di parentela ci daranno modo di proseguire a narrare la storia dell’hockey milanese, saltando nel tempo.

Author: Claudio Nicoletti