3 aprile 1993: la partita della rinascita

PREMESSA ovvero perché “quel” giorno fu così importante

Mi chiedo spesso vedendo la dolcezza della Maestà di Simone Martini o la struggente bellezza di Piazza del Campo a Siena che effetto facessero queste meraviglie alle persone che nei secoli scorsi giungevano al loro cospetto per la prima volta solo avendone sentito parlare, l’impatto che queste avevano su questi uomini che non avevano modo di avere “anteprime” come le nostre: foto, libri, TV, internet.
Mi piace pensare di aver provato un’emozione simile entrando per la prima volta al cospetto del popolo rossoblu il 3 aprile 1993, il giorno della partita revival, la mia prima volta.
Avevo vissuto la mia passione per quella che nel corso degli anni era stata prima la Saimex, poi la Saima, per svariati motivi, sempre da fuori, soffrendo davanti alla TV oppure con l’orecchio attaccato ad una radiolina. La cosa aveva assunto, col passare del tempo, dei contorni quasi grotteschi: ricordo alla perfezione dov’ero il giorno della gara con il Turku, divoravo i giornali che, per fortuna, all’epoca parlavano del Milano, ascoltavo la curva cantare attraverso le onde medie ed il giorno dello scudetto avevo pianto davanti alla TV guardando la festa trasmessa da TeleLombardia, ma non l’avevo mai vissuto dal vivo. La sera della finale al Forum contro i Devils, quella della coreografia “benvenuti a scuola di tifo”, avevo succhiato ogni fotogramma che Telepiù2 aveva concesso prima di oscurare il segnale, al rigore contestato che consegnava il titolo ai Devils avevo rotto la radio, ma la Saima non l’avevo mai vista pattinare. Manno,

l'"Indiano" John Chabot
La presentazione dei giocatori protagonisti della partita revival: John Chabot

Rossi, Fiore, Zanier, Lavallee, Gellert, Chabot erano personaggi da mitologia, ma soprattutto era il popolo rossoblu che aveva acceso la mia passione: le loro imprese, il loro tifo mi aveva stregato fin dalla prima partita vista in TV con le maglie che erano biancoblu e sul plexi del Piranesi campeggiava uno striscione che diceva:”Cibien magico guerriero picchia per noi”. L’interesse per il Milano che giocava ad hockey nasceva dalle brevi notizie che il settimanale “Playoff” riportava accanto ai resoconti delle gare di Serie A in cui si raccontava di una squadra, la Saimex che dominava in campionato di B, dei derby con il Como e delle gare contro le Altoatesine fino alla “tragica” notizia della promozione persa a Cavalese.
L’anno della prima scomparsa fu un colpo duro, guardavo le immagini della fiaccolata e leggevo le notizie che raccontavano l’evolvere della situazione cercando di interpretare, di scovare tra le parole la certezza che il Milano non sarebbe morto, conservo ancora la pagina dell’inserto della Gazzetta dedicato allo sport di Milano che in una giornata estiva mi aveva dato la gioia più grande: tornava il Milano, peccato che quell’anno me lo sarei perso per il militare…

Il Milano era diventato qualcosa di più di una “semplice” passione sportiva, il colore delle maglie della squadra di fantacalcio era, lo è tutt’ora, rossoblu in onore di quello che stava diventando per me un mito inteso nel senso antico del termine. Tutto senza aver mai provato l’urlo dell’Armata sulla mia pelle.
Durante l’inverno del 1992 non riuscii a guardare le dirette pomeridiane del girone milanese di Coppa Campioni trasmesse su Italia 1, era solo hockey non il Milano, erano i Devils; me ne pentii presto leggendo quello che era successo: quello che i mezzi di informazione bollarono come antipatiche manifestazioni di “tifo contro”, ma che per tutti i tifosi del Milano, soprattutto per me che vivevo da molto fuori il mondo Saima, era il segnale della speranza, la fiamma accesa sotto la cenere che mostrava di essere ancora viva.
Ero stato anche al Forum l’anno della scomparsa a vedere il tennis e la cosa che mi aveva interessato di più non era certo Agassi che perdeva al primo turno in due set, ma quel drappo appeso al soffitto con il casco alato e lo scudetto insieme a quello che un gruppo di quattro o cinque ragazzi appollaiati di fianco a me nell’ultima fila del secondo anello cantavano, era una canzone contro i Cabassi, erano tifosi della Saima, era il mio primo vero contatto col mito.
Il giorno che vidi il cartellone, rimasto poi appeso alla parete di camera mia per anni, della partita revival lo ricordo ancora con una nitidezza che non mi farebbe molto onore considerato che non ricordo molte cose che per una persona con una vita normale sarebbero molto più importanti, oppure non ricordo quasi nulla dell’ultima stagione prima della seconda scomparsa del Milano. In macchina andando da piazzale Loreto ed entrando in Viale Abruzzi sulla sinistra, in basso su uno dei cartelloni delle elezioni ecco quel nome e quei colori: “Saima torna sul ghiaccio” diceva e l’immagine di Fascinato e Favalli che si avviano verso la pista.
Sapevano tutti della mia passione per il Milano e per l’hockey – all’epoca tutti sapevano cos’era l’hockey, chi erano le due squadre di Milano – ma queste venivano trattate alla stregua di tutte le altre passioni che avevo, che ho ancora in verità, pur amando il calcio inglese non mi ero mai sognato di andare in Inghilterra a vedere una partita, certo se dovessi dire che la scelta di andare in viaggio di nozze in Cornovaglia, di visitare passando per Londra Highbury e Stamford Bridge, di premurarmi di vedere “cosa” poter vedere una volta giunti a destinazione e passare un sabato pomeriggio piovigginoso in piedi sui gradini dell’Home Park di Plymouth per vedere Plymouth Argyle e Roterham Utd pareggiare 1-1 una partita del campionato di third division fu una cosa casuale sarei bugiardo, ma è un’altra storia. La Stefania, all’epoca mia fidanzata ora mia moglie e mamma del Paolino, aveva sempre assecondato le mie “fisse”, da ormai tre stagioni un sabato si ed uno no era con me allo stadio Breda a vedere la Pro Sesto, sapeva dell’hockey, ma a lei interessava di più il fatto che fosse uno sport che si praticasse sul ghiaccio, che forse avrebbe conquistato un sabato al pattinaggio e che suo papà da ragazzino giocava nei Diavoli. Un giorno si presentò con un regalo per me: la spilla dell’Armata Piranesi. Non so quanto tempo rimasi a guardare quel pezzo di metallo tondo smaltato rosso e blu, ripresi la coscienza del mondo esterno quando mi trovai tra le mani una busta che una volta aperta rivelava il suo tesoro: due tagliandi con la stessa foto del manifesto della partita revival stampati sopra ed un adesivo dorato appiccicato sopra: i biglietti della partita… L’unica reazione che riuscii a mettere in parole fu un:“…ma… quel giorno c’è Pro Sesto-Vicenza…” ero terrorizzato, emozionato; perché non so spiegarmelo ancora adesso.
3 aprile 1993
Andammo a vedere Pro Sesto-Vicenza, la giornata era bellissima, come solo aprile sa offrire, come solo un sabato di playoff può regalare, ma questo lo avrei scoperto solo due anni più tardi, il sole era splendente, caldo, ma non fastidioso, l’aria frizzante, alla fine del primo tempo uscimmo dallo stadio Breda lasciando la Pro sul risultato di parità, non chiedetemi come finì quella partita, la mia vita avrebbe subito uno degli scossoni emotivi più forti non pretenderete che mi ricordi anche queste cose. Mi ricordo il viaggio in tangenziale, il primo di una infinita serie, mi ricordo il Milan che perdeva nell’anticipo 2-0 in casa col Napoli ed i due gol di Lentini del 2-2 che frustravano ogni speranza di rimonta per l’Inter, anche in questo caso la serie sarebbe diventata infinita. Dal momento dell’arrivo in Via dei Ciclamini in poi non ho molti ricordi, o meglio non ho ricordi precisi in consecutio temporum esatta come di solito mi capita, ho tante foto che la sempre previdente Stefania si premurò di scattare a futura memoria mia e di tutti noi, chiedere a me che passai grossa parte di quel pomeriggio in stato di semi incoscienza con la bocca aperta sarebbe stato inutile e pericoloso considerando che la macchina fotografica sarebbe stata solo un inutile orpello abbinato ad una bocca spalancata col rischio reale di essere lasciata ovunque. Ricordo che parcheggiai la Regata sul marciapiede opposto all’entrata principale arrivandoci dal prato, ma non ricordo se la Stefania al termine di uno dei due periodi uscì a spostarla oppure a controllare se fosse ancora lì. Ricordo che il sole entrava forte nella zona, come cazzo si chiama, tra le due porte dove c’è il negozio, ricordo l’odore del ghiaccio, ricordo che come un automa porsi il biglietto e che di ritorno ricevetti un opuscolo in cui si presentava la partita, poi entrammo.

La curva rossoblu
La “sciarpata” del 3 aprile

Tutto insieme, troppo insieme, la curva un muro umano compatto senza soluzione di continuità stava già rendendo omaggio a quelli che pochi mesi prima erano una squadra, stavano rendendosi omaggio, stavano gridando al mondo la loro esistenza, la nostra esistenza. La sensazione più forte e più bella fu quella di sentirmi subito parte di tutto quello che stava accadendo, in fondo era la prima volta che “c’ero”, il pericolo di sentirsi lo spettatore esterno era grande, ma sapevo perché ero lì, sapevo qual’era il significato dello stare lì, non era la mia maglia rossoblu a farmi partecipe a farmi parte integrante, era la mia passione, finalmente ero arrivato a casa. Il clima era proprio questo, sentirsi tutti profondamente uniti ed orgogliosi di far parte del popolo rossoblu. La partita non la ricordo se non per il fatto che uscito Zanier ed entrato Tigliani il Varese ha rischiato di pareggiare, ma non era quello l’importante. L’importante era tutto ciò che vi era intorno, tutto ciò che avevo sempre amato da fuori e che da quel momento scoprivo di non poter più rinunciarvi. Solo sensazioni di quel pomeriggio, il sole che filtrava sempre più orizzontalmente dai finestroni che negli anni successivi mi avrebbero annunciato quanto il palazzo era pieno arrivando da lontano, il ragazzo col volto dipinto di rossoblu che insultava Malfatti e si incazzava con chi applaudiva i giocatori del Varese. Rimane come un brivido che mi prese allora e che si fa sentire forte ancora oggi la curva, un corpo unico costituito da migliaia di persone che dalla mia posizione, la curvetta dei Teoralgici, sembravano un tutt’uno indistinto.
Come nella più bella delle storie e nei più melensi romanzi, anche la mia aveva avuto il suo lieto fine, tutte le ore passate ad immaginarmi come e cosa era stare al palazzo del ghiaccio a veder giocar la Saima, a tifar la Saima, aveva creato in me un’immagine chiara di quello che era il popolo rossoblu e forse il terrore del primo incontro era figlio della paura della possibile delusione che il “mio” Milano non fosse “il” Milano, beh nulla di tutto ciò, il Milano era esattamente, se non meglio, come me lo ero “costruito”.
Gli occhi fissi contemporaneamente sui miei idoli finalmente in carne ed ossa e sulla massa in tribuna, la gioia, la tensione, la speranza si sciolsero in lacrime quando tutto il palazzo e forse anche qualcuno fuori intonò “O mia bela madunina”.

Zanier e Tigliani
Mike Zanier, il portiere dagli occhi di ghiaccio

Arrivato a casa ero come un bambino col giocattolo nuovo e non mi vergogno a dire che tutta l’emozione si sfogò come dice Vasco Rossi: ”si stupendo, mi viene il vomito”.
Non c’è bisogno di dire che sentivo già di non poter più vivere quella passione solo da fuori. La stagione della rinascita maledissi mille volte il fatto che la naia mi impedisse di riprendere immediatamente il discorso iniziato il 3 aprile, ma la contemporanea presenza di due ragazzi tifosi del Varese, costretti ad indossare il foulard rossoblu dei VAM, la vicinanza a casa –Novara- mi permise di gustare la mia piccola fetta di rinascita; congedato il 22 settembre mi presentai al palazzo da recluta ben più felice alla prima data utile, Courmaosta per il Sei Nazioni con rissa e squalifica per Carminator Vani, il nodo era finalmente stretto, il resto è un’altra storia, fa parte di un altro capitolo.
E’ bella la sensazione e la consapevolezza, ripensando a quel tre aprile ed al muro umano che componeva la curva, di aver fatto parte negli anni seguenti di quell’entità che quel giorno aveva raccolto tutta la mia attenzione ed aveva inconsapevolmente reso reale tutto quello che avevo fino ad allora solo immaginato.

TABELLINO

Milano-Varese 9-8 (3-0,4-2,2-6)

1° t. 2’03” Anisin (M), 9’25” Bragnalo (M), 16’21” Rossi (M). 2° t.  3’29” Fare (V), 4’25” Gellert (M), 6’29” Endrizzi (V), 10’19” Fascinato (M), 13’16” e 18’29” Anisin (M). 3° t.  4’04” Merzario (V), 4’31” Malfatti (V), 5’06” Priondolo (M), 7’41” Dornic (V), 10’01” Endrizzi (V), 12’05” Vacca (M), 13’03” Dornic (V), 14’03” Scapinello (V).

Milano: Zanier (Tigliani); Ciarcia, Manno; Fascinato, Larson; Spiriti, Tessari; Rossi, Mazzocchi, Bragnalo; Anisin, Priondolo, Frison; Favalli, Gellert, Chabot; Vacca.

Varese: Corsi (Villa); De Santis, Liberatore; De Bernardin, Oberhofer; Boni; Olivo, Dornic; Scapinello, Merzario, Orrigoni; Malfatti, Endrizzi, Zafalon, Da Rin, Farè; Quilici, Campanale.

Arbitri: Guichardaz, Leoni e Ponti. 

Il ricordo della partita della rinascita nelle parole e nelle immagini di Valmore Fornaroli

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