I cantori rossoblu – Leo Siegel

Ritrovarsi una sera a cena all’Ortica, uno degli ultimi autentici quartieri popolari milanesi, a parlare di hockey, di Saima e del Piranesi, che poco più a sud langue ferito dalle recenti sacrileghe trasformazioni, con un ospite speciale, Leo Siegel: “Per me wurstel e crauti, il mio piatto preferito, ricordo che in via Mainardo, alla vecchia pista di Merano, non facevi in tempo a mangiarli che si erano già congelati…” . Comincia così la conviviale chiaccherata, una lunga serie di racconti, aneddoti, esperienze vissute in prima persona da quello che è comunemente definito il decano dei giornalisti italiani di hockey su ghiaccio e che l’anno scorso ha dato alle stampe “Nati per vincere”, indispensabile summa della storia hockeistica milanese, dalle pioneristiche origini degli anni ’20 ai giorni nostri.
“Abitavo non molto distante da Porta Vittoria, al Piranesi ci andavo in filovia al sabato per pattinare, ma quello che al pomeriggio era un tranquillo ritrovo per trascorrere ore spensierate alla sera si trasfigurava fino a diventare un bunker di passione: in pista alle 21.30 scendeva il Milano-Inter e duemila vocianti anime ammiravano le gesta del Trio Piranesi e del funambolo canadese Pat Adair”. Erano gli anni cinquanta e l’hockey milanese era una realtà fortemente radicata nel quartiere: “Un microcosmo -ricorda Siegel- in cui 3/4 della squadra erano abitanti della zona, come Aga-Brandina-Tino, cresciuti tra via Piranesi e via Lomellina, e gli spettatori si portavano le casse della frutta dal vicino Ortomercato, da usare come piedistallo per vedere meglio”.
Questo spirito di appartenenza si è tramandato nei decenni dai gloriosi Diavoli , che uscirono di scena al termine della stagione’78/’79, alla Saima che riportò in auge dischi e bastoni a metà degli ottanta: “Dell’epoca storica ricordo con piacere anche Viale, formidabile goalie, il terzino Brivio e l’oriundo Gallo, oltre agli allenatori Federici e Bestagini, personaggi irripetibili. Era un hockey molto diverso dall’attuale, forzatamente più compassato visti i roster striminziti e meno fisico: i gesti tecnici e la pattinata erano invece ineccepibili e non mancavano sonore scazzottate…”.
Già addetto stampa dei Diavoli, Siegel, giornalista professionista nonchè allenatore di calcio con regolare patentino, divenne la voce del popolo rossoblu, definizione da lui coniata, nella favolosa epopea Saima che il nostro sito quotidianamente si sforza di celebrare: “Stessa tempra di un tempo, la Saima di Moretti e Cabassi era una famiglia. Tifosi-giocatori e giocatori- tifosi, molto volontariato e unione d’intenti sublimata nel tempio dell’hockey milanese che divenne il ristorante Quadrifoglio in piazzale Susa. Lì ci si ritrovava per le trasferte, lì ricordo quei matti dell’Alaska (farm team della Saima, ndr) abbuffarsi di lumache a cena prima di allenarsi alle 23…I giocatori erano dei personaggi, altro che l’hobby del golf, quelli al massimo si sfogavano col baseball come George Cava o Angelo Maggio. Gli anni della B furono un’avvincente cavalcata, la beffa di Cavalese dove si finì in rissa dentro e fuori pista, non fece che rinsaldare l’ambiente fino alla conquista della Serie A ad Ortisei”.
Da quel momento Leo Siegel assunse un ruolo di primo piano nel mondo-Saima, dai memorabili quotidiani articoli sulla mai tanto rimpianta “Gazzetta Milano”, alla realizzazione di Top Hockey (iniziativa di stretta attualità…), fino alla pubblicazione dei primi due volumi sul Milano: “Il trionfo dell’hockey” sulla stagione dei record ’90/’91 e “Milano siamo noi”, che rendeva omaggio ai primi 10 anni di Saima.
“Tanti flash di quegli anni, i giocatori cui sono più legato sono Manno, Chabot e Stewart, molto disponibili fuori dal ghiaccio e poi come dimenticare Lou Vairo, padre calabrese, madre siciliana vi lascio immaginare il tipo… Che accoppiata con Chipperfield! Li ricordo confabulare tra un periodo e l’altro: uno saliva dalla panchina, l’altro scendeva dalla tribuna d’onore e a metà strada si incontravano per parlare fitto; alla ripresa del gioco la squadra cambiava marcia!”. Non mancarono i momenti duri e Siegel fu tra i più attivi nel tentativo di salvare il Milano al termine della travagliata stagione’91-’92: “La morte di Giuseppe Cabassi fu un colpo tremendo perchè dei figli solo Giovanni voleva proseguire con l’hockey, ma a fronte della situzione debitoria la sua idea era quella di fondersi coi Devils: le maglie arancioni della nuova squadra erano già pronte, ma la piazza si oppose e iniziò la battaglia più dura, quella per la sopravvivenza”.
La traumatica chiusura del 1992 non fece che serrare le fila del popolo rossoblu, che trovò ragione di vita nel fenomeno del tifo-contro fino alla storica giornata del 3 aprile 1993, Pasqua di Resurrezione, in cui 5000 folli innamorati convinsero Moretti e Di Canossa a riprovarci. Siegel ovviamente fu deus ex machina anche di quella giornata: “I giocatori furono disponibilissimi, la maglia rossoblu era una seconda pelle per loro. Feci sistemare gli stranieri che arrivarono da mezzo mondo all’hotel dei Cavalieri, ma la mattina della partita quando chiamai e chiesi di Chabot alla reception caddero dalle nuvole- Qua non si è visto nessuno!- semplice, i tifosi se li erano portati in giro tutta la notte!”. Nel frattempo i biglietti erano stati polverizzati in prevendita: “Al Quadrifoglio era un processione continua, io e il “Mulo” (Orio Protti, storico leader dell’Armata Piranesi,ndr) dietro al tavolo a vendere…peccato che il Forum non fosse disponibile, l’avremmo riempito senza fatica”.
A rovinare la festa non riuscirono neanche i tifosi dei Devils che nottetempo gettarono del sale in pista per rovinare il ghiaccio: “Negli anni qualche problemino con la fazione rossonera l’ho avuto, i miei articoli davano forse sui nervi a qualcuno. Io potrò aver ogni tanto aggiunto qualche zero nel celebrare il tifo rossoblu, ma il fenomeno era sotto gli occhi tutti, Siegel o non Siegel”.
Seguirono stagioni entusiasmanti fino ad un nuovo declino, coinciso con la doppia cocente delusione nel biennio di presidenza Quintavalle: “Dovette spendere più soldi in avvocati che per la squadra. Quello che successe nelle finali col Bolzano andò al di là di ogni immaginazione e a rimetterci furono ancora i tifosi rossoblu, che rimasero un’altra volta senza squadra.”.
Nel 1998 fu Alvise di Canossa, personaggio chiave della storia del Milano fin dalla prima sponsorizzazione Saima, a restituire alla città una della sue glorie, quella squadra di hockey che ne rappresentava una sfaccettatura popolare e popolana come ama dire Leo Siegel: “In questi anni abbiamo potuto ammirare ancora grandi campioni e assaporare gioie che sembravano irripetibili. Bisogna però stare attenti a non perdere lo spirito-Saima,quel collante che ha fatto dell’ambiente rossoblu un’esperienza unica. Certo, troppe commistioni nel passato hanno determinato una minore professionalità rispetto al presente, ma non bisogna mai dimenticare quello che è stato il nostro passato: un popolo, con le sue tradizioni e la sua orgogliosa identità”. E con il suo insostituibile cantore, Leo Siegel.

da Milanosiamonoi, luglio 2007, di Giorgio Prando

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