Ciao Sen. Dave Tomassoni

Non esiste sport di squadra che non riconosca l’importanza dello spogliatoio per raggiungere i più importanti traguardi. All’interno di esso vengono definiti “senatori” coloro che sono d’esempio e guida per i compagni. Non necessariamente perchè sono i migliori, molto più spesso perchè sono quelli con una spiccata etica del lavoro, uno spirito di sacrificio superiore alla media, la capacità di mettere a disposizione della propria squadra cuore, grinta ed attributi. In questo senso Dave Tomassoni era già un senatore, ancora prima di diventarlo sul serio nel Minnesota, ventidue anni fa. Strano caso quello che riguarda gli sportivi milanesi: la maggior parte di loro conoscono infatti la storia di Bill Bradley, senatore americano con un passato da giocatore dell’Olimpia Milano. Ma tra quelli che seguono l’hockey il senatore era da tempo Dave Tomassoni, onesto mestierante nel ruolo di difensore, arrivato in città alla soglia dei quarant’anni.

In Italia aveva invece messo piede sul finire degli anni ’70 dopo un quadriennio giocato con l’Università di Denver, chiuso vestendo i gradi di capitano.

Fece parte di quel gruppo di giocatori oriundi che contribuì a rilanciare l’hockey italiano dopo anni in cui questo si era rinchiuso all’interno di poche valli del nord est del paese. Al termine della sua discreta avventura NCAA con i Pioneers, malgrado fosse indicato come un difensore solido e dal gioco fisico ma senza particolari doti offensive, si sentì suggerire dal suo allenatore Murray Armstrong di considerare la carriera da arbitro. ” Non sono il tipo che può arbitrare, ma che ne pensi dell’Europa?” fu la risposta di Tomassoni. In quel frangente gli scout sondavano il mercato americano alla ricerca di giocatori dotati di doppio passaporto per portarli in Italia. Avendo tre nonni su quattro nativi del belpaese per Dave non fu difficile ottenere la cittadinanza. Resta curioso un aneddoto sul suo arrivo: avendo il solo passaporto americano fu costretto a tornare negli USA, al consolato italiano di Chicago, per ottenere il passaporto italiano. Solo due anni fa Tomassoni raccontava a Jess Myers su “The rinklive” numerosi aneddoti riguardo la sua carriera, durata ben sedici stagioni, quindici considerando l’anno sabbatico preso dopo le Olimpiadi di Sarajevo 1984.

“Nei sedici anni che sono stato la, il campionato italiano ha avuto sedici differenti format di regular season, sedici differenti format di playoff, sedici differenti regole riguardanti gli stranieri e sedici differenti regole sui giocatori che come me avevano origini italiane ma formazione straniera, così mi capitava di dover cambiare squadra in virtù delle modifiche dei regolamenti”, “per questo ho giocato in otto squadre differenti, tutte nel nord italia”. Quale miglior quadro per rappresentare l’hockey italiano: si parla del periodo che va dal 1975 al 1991 ma si potrebbe tranquillamente sostituire sedici con venti, trenta, quaranta.

Imparò l’italiano in fretta (quando si parla di etica del lavoro) e già nel 1977 faceva parte della nazionale che vinse il campionato mondiale gruppo C. Nel 1981 fu uno dei protagonisti della vittoria dei mondiali gruppo B, a difesa della gabbia di Jim Corsi, autentico uomo simbolo di quell’edizione.

Tomassoni, terzo da sx, seduto al fianco di Corsi

Nel 1982 ebbe modo quindi di disputare il suo primo mondiale gruppo A giocato in Finlandia, risultando, con Ciarcia e Farelli, nei best-three del blue team. Una rete contro gli USA e la soddisfazione di aver fermato Wayne Gretsky: una foto di un contrasto contro “The Great One” ha campeggiato a lungo nel suo ufficio, a testimonianza delle soddisfazioni che Tomassoni ottenne vestendo la maglia della nazionale, dell’orgoglio di essere stato un “azzurro”.

21 aprile 1982: Tomassoni ferma Gretsky, l’Italia inchioda il Canada sul 3-3

Durante le Olimpiadi di Sarajevo un altro giorno speciale: il 9 febbraio 1984 mise a segno l’unica rete azzurra contro l’Unione Sovietica mentre dall’altra parte dell’Oceano, in Minnesota, nasceva suo figlio Danny. Un altro bel segnale di “appartenenza” per un “oriundo”: perdersi la nascita di un figlio per giocare con la nazionale.

A Milano arrivò nel 1989, fortemente voluto da coach Vairo.

Tomassoni, Tigliani, Manno

Tornò la stagione successiva ma solo a campionato iniziato per completare una squadra che si dimostrò da subito competitivo ma troppo spesso alle prese con un roster numericamente corto. Per sopperire ad infortuni e squalifiche fu schierato anche in terza linea d’attacco: sacrifici necessari e ben ricompensati con uno storico scudetto. Il terzo titolo personale di campione d’Italia, dopo quelli ottenuti nel 1976 con il Gardena e quello del 1986 con il Merano.

Renon, Bolzano, Asiago, Varese le altre squadre italiane in cui militò da giocatore, prima di appendere i pattini al chiodo per intraprendere la trentennale carriera politica, che lo ha visto senatore del Minnesota addirittura dal 2000. Nel 2021, dopo che gli venne diagnostica la SLA, continuò a “servire” la sua comunità come senatore e promosse un disegno di legge per incentivare la ricerca su una malattia sempre più frequente e per aiutare le persone colpite da un male subdolo che priva gli uomini del proprio corpo. Questa primavera un suo disegno di legge in tal senso è stato approvato dal governatore del Minnesota dopo essere stato votato all’unanimità dalla Camera e dal Senato, a testimonianza di quanto l’apprezzamento per il Senatore Tomassoni fosse bipartisan. Un pò come per gli appassionati di hockey italiani che a prescindere dalle maglie indossate ne hanno apprezzato la grinta, l’umiltà, il coraggio, l’essere un grande uomo ancora prima dell’essere giocatore.

Nato il 5 dicembre 1952, lascia moglie e tre figli l’11 agosto 2022 a sessantanove anni dopo un calvario che negli ultimi mesi lo ha relegato su una sedia a rotelle prima, all’impossibilità di comunicare a parole poi. Storia comune a quella dell’ex calciatore Stefano Borgonovo, che per primo qualche anno fa ha portato alla ribalta in Italia questo male.

Ciao Senatore! Italiano che ha coronato il sogno americano, americano che ha onorato la bandiera italiana.

Author: Claudio Nicoletti